Non frequento i social network, capito a volte in pagine di blog come questa mentre cerco qualcosa, ma ciò nonostante ho sufficiente esperienza di abomini verbali commessi sull’incorporeo campo di battaglia della “rete”. Dinamiche, spesso omologabili, in contesti apparentemente diversi, il più delle volte non dissimili, anche quando i contendenti sembrano essere adulti dai pregiati curricula, da quelle che s’osservano tra gli adolescenti. La natura particolarmente bestiale delle frasi riportate dalla signora Lipperini e l’esecrabile (che razza di termine) contesto che le ha generate, mi pare però debbano far riflettere soprattutto sul ragguardevole numero di “mi piace” e di condivisioni, che, se il post non fosse stato rimosso, sarebbero state, probabilmente, destinate a crescere. Che fare? Occultare, cancellare, rimuovere. Chiedere ai gestori di questi spazi di adeguare alla nostra linea invalicabile il loro limite di “commenti che incitano all’odio”. Ma quei commenti non lo incitano, lo esprimono, nella forma che gli è consona. Sono un elemento di realtà. Boh, si provi pure a rimuoverla. Non si farà, temo, un gran servizio a nessuno. Meglio stiano lì dove stanno, meglio guardare le cose come sono. Evitando di fingere che “…non è possibile esprimersi in questo modo in una comunità pubblica.” Non è affatto impossibile e mi auguro non lo sia mai. C’è una legislazione che prevede sanzioni e pene per comportamenti che configurino reati. Per il resto c’è l’umano (mica sempre un belvedere, gentile Loredana). Una ulteriore polizia, magari etica, sguinzagliata sul web, impegnata a ridisegnare un mondo più pulito a colpi di rimozioni no, grazie. Saluti.
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